Il mio 11 marzo 2011 (Parte 2)
Ed eccoci di nuovo qui, riprendiamo il racconto.
Ascoltavamo la tv che riportava notizie su una centrale a Fukushima che dava problemi…
Eravamo ancora senza gas e neanche la mia coinquilina era andata a lavoro quindi per pranzo avevamo deciso di prepararci del sukiyaki.
Ovviamente tutti gli occhi erano puntati sulla televisione, parlavano di un surriscaldamento in uno dei reattori della centrale, e poi del fatto che in questo edificio avrebbero calato del liquido di raffreddamento per riportare il tutto ad una temperatura ottimale.
Poichè i miei ricordi di quei giorni sono confusi, per scrivere questa parte di articolo sono andata a rivedermi i miei messaggi e status su Facebook di due anni fa.
Il 12 Marzo scrivevo: “E’ uscito del cesio dalla centrale nucleare, pregate per noi”.
In tutto ciò le notizie arrivavano col contagocce, vedevamo le cose in tv ma non ci dicevano nulla.
Sempre lo stesso giorno, poco più tardi un altro mio status diceva:
“Cioè c’è stata una notizia che diceva che han sentito il rumore di un’esplosione dalla centrale??? Ditemi che è un incubo…”
In effetti, c’era stato, e non solo il rumore, ma un vero e proprio scoppio, solo che noi non lo sapevamo allora… le news, il governo, nessuno ci aggiornava.
La tv teneva una telecamera puntata sulla centrale, i commentatori avevano gli elmetti perché in un giorno e mezzo c’erano state qualcosa come 90 scosse di assestamento e nessuno ci spiegava esattamente cosa stesse succedendo.
Poi arrivò finalmente la notizia confermata che qualcosa era esploso MA, attenzione, non si sapeva COSA.
Curiosamente, il lag era circa di 2 ore di ritardo tra avvenimento e sua diffusione attraverso i media.
Dissero anche che, a causa di questi problemi sia a Fukushima Dai-ichi che a Dai-ni, quella notte avremmo potuto avere un black out perché ovviamente la richiesta di energia sarebbe salita e non c’era modo di coprirla.
Fortunatamente non accadde, quello ci consentì di rimanere incollate alla tv a vedere cosa succedeva.
A questo punto della giornata io avevo perso completamente l’appetito.
Non capivo più se erano le scosse di assestamento o il mio corpo a tremare.
Pochi minuti dopo, sul mio Facebook apparve l’immagine dei quattro edifici dei reattori con un “prima” e “dopo”, ed ovviamente nel “dopo” alla conta ne
mancava uno… di edificio.

Fukushima Dai-ichi prima e dopo lo scoppio dell’edificio
Il messaggio sopra a questa foto era:
“Noterei la totale mancanza di un edificio… e questi NON DICONO NIENTE!!!!!!!! NIENTE!!!!!”
Non ci davano ancora notizie, non sapevamo nulla.
Poi finalmente gli aggiornamenti, era stata distrutta SOLO la parte esterna in cemento, non rilevavano danni al nucleo.
E noi eravamo lì che non potevamo far altro che attaccarci a quello che riportavano e crederci con tutte le nostre forze.
Però la mia paura saliva, e continuavo a pensare ai miei genitori che oltretutto come vi avevo detto, avevano problemi di salute e mi chiamavano ogni 2 ore.
Senza che ve lo dica perchè lo ricorderete, in Italia a questo punto le versioni variavano da esplosione nucleare a nube tossica fino ad arrivare veramente ad invasione di Godzilla.
Immaginatevi mio padre che neanche dico pronto e fa “Allora é esploso il reattore? Che aspetti ad tornare qui??”
Un incubo.
Arrivò poi la notizia che degli evacuati di Fukushima erano stati contaminati dallo iodio 131.
Ovviamente non sapevo neanche cosa fosse, in tre giorni mi sono fatta una cultura sul nucleare sia in italiano che in giapponese, detto fra noi, avrei preferito farne a meno.
E si era fatto tardi, io avrei dovuto dormire, ma ci sarebbe stata una conferenza in diretta e mi ero ripromessa di vederla e poi andare a letto.
La conferenza non disse altro che quello che già sapevamo, e non aiutò a calmare il mio animo.
Dormii 5 ore, e feci solo incubi (leggo dal mio Facebook). Alla mattina quando riaccesi la tv seppi che un secondo reattore, precisamente il 3, era entrato in stato di emergenza.
Diceva che avevano smesso di pompare acqua dentro per raffreddarlo perché la pressione si era fatta troppo forte e si rischiava un’altra esplosione.
A questo punto i miei genitori erano sotto stress peggio di me.
Chiamarono l’ambasciata, volevano farmi ritornare a tutti i costi, fosse anche solo qualche settimana, mia madre cominciava a preoccuparmi più di mio padre per via di alcuni problemi seri e io ero spaventata, divisa sul cosa fare.
Io non sono sposata, non ho praticamente nessuno “di famiglia” qui. E invece la mia famiglia continuava a implorarmi di andar via.
Se c’era una esplosione anche al reattore 3 dicevano che il livello di pericolosità sarebbe arrivato a quello di Chernobyl.
Chernobyl…
Io ero troppo piccola per ricordarmi Chernobyl, non capivo perché mia madre in quel periodo non mi facesse bere il latte per esempio. Ma da grande mi capitò di vedere dei filmati e niente da dire, mi sentivo male ogni volta che li passavano in tv.
In quel momento la paura di non sapere cosa sarebbe successo e la preoccupazione della mia famiglia erano le uniche cose che mi riempivano la testa.
Fu così che trovai un compromesso con me stessa, per il momento.
Decisi, anche dopo una chiamata in ambasciata qui a Tokyo dove alla fine ci salutammo con l’impiegato augurandoci buona fortuna e con lui che mi disse, testuali parole, “Se può si allontani da qui, io se potessi lo farei di corsa”, che essere così vicini a Fukushima (un soffio se scoppiava qualcosa di grosso) non era salutare né per la mia psiche, né per i miei genitori, e contattai tramite amici su Facebook delle persone italiane che si stavano muovendo verso Osaka.
Il 13 di Marzo, di mattina la decisione era quasi presa.
Non mi volevo allontanare da Tokyo, ma in tv mostravano continuamente le scene dei reattori, arrivavano notizie che il terzo reattore non erano riusciti a raffreddarlo e che ci si aspettava che scoppiasse proprio come il primo.
Mia madre mi telefonò e mi disse “Ti prego, ti pago io il volo, allontanati da lì”.
Lei… che non mi ha mai pregato in vita sua.
Intanto si parlava di black out a rotazione a Tokyo per conservare l’energia durante la settimana lavorativa.
Sembrava che ci fosse più di un reattore che stava dando problemi.
Io non volevo lasciare la città, ma come facevo a rimanere? Considerai anche l’idea di dire ai miei che ero andata via quando invece non era vero, ma la situazione mi spaventava molto lì da sola, senza nessun tipo di appoggio…
Il 14 di Marzo, la mattina, in pullman verso Haneda, con una valigia quasi vuota causa incredulità a tutto quello che stava avvenendo, ho scritto questo messaggio su Facebook:
“Mi sento svenire e non so bene perché… forse sono le pochissime ore che ho dormito in questi tre giorni unite al fatto che non ho mangiato. E questo continuo tremore che ho in tutto il corpo… mi sembra sempre che ci siano scosse di terremoto ma invece sono io che tremo, lo stress è arrivato ad un livello preoccupante.”
Una ragazza che avevo conosciuto via internet in quei giorni mi scrisse un messaggio dicendomi che i treni erano tutti fermi e sarebbe riuscita ad arrivare ad Osaka solo il giorno seguente.
Io nel frattempo ero arrivata ad Haneda, avevo comprato il biglietto e poi ero partita.
Mentre ero in volo, seppi dopo, ci fu lo scoppio nell’edificio del terzo reattore, proprio come era successo al primo.
Atterrai ad Osaka, e ricordo che il mio umore era sotto terra.
Forse è anche per questo che quella città non mi piace, ho troppi ricordi brutti legati a quel posto, mi ha visto in un momento della mia vita dove, per la prima volta, non sapevo come comportarmi e non avevo neanche mezza certezza.
Arrivata nell’hotel dove stavano la maggior parte degli italiani andati via da Tokyo, che ne occupavano circa la metà, non riuscivo a credere a quello che era successo.
Quella notte, invece di dormire mi rigirai nel letto, tenendo la tv accesa fissa sulle news.
I programmi non erano ancora ripresi e le uniche pause erano date da due pubblicità, una sulle paroline magiche (i vari grazie, prego, etc), con una canzone anche molto carina ma che da quel giorno ogni volta che la sento mi fa stringere lo stomaco (VIDEO), e un’altra sulla prevenzione del cancro all’utero e al seno (VIDEO).
Cioè ci rendiamo conto?
Due pubblicità del genere che intervallavano la situazione paradossale che stavamo guardando in tv.
E poi qualcuno si stupisce se la depressione era a livelli da record.
Si raccontava che alcuni incavolati neri avessero telefonato alle emittenti televisive minacciandoli di smetterla di mandare in onda sempre gli stessi spot o avrebbero fatto un casino.
Mai saputo se fosse vero o no, ma data la situazione mi sembra plausibile.
Gli altri italiani decisero il giorno dopo di girare Osaka.
Io ero… non lo so, stanca, disillusa, volevo a tutti i costi chiudere gli occhi, riaprirli e scoprire che era stato tutto un incubo.
Mi chiedevo mille perché…
Da Osaka avevo parlato con i miei, non erano tranquilli neanche lì, volevano disperatamente che tornassi.
Io ormai vivevo attaccata alla tv tra un “non è mai troppo tardi per la prevenzione del cancro” ad un Fukushima Dai-ichi che fumava.
Non sapevo che pensare, non sapevo che fare.
Incontrai una persona molto importante per me quella sera, qualcuno che fortunatamente era di Tokyo ma si trovava ad Osaka da alcune settimane.
Davanti a quella persona scoppiai a piangere.
Può sembrare strano ma fino ad allora non ci ero riuscita.
Tremavo, ero arrabbiata, frustrata, delusa, incredula ma non avevo pianto.
Tornai a casa e in tv facevano vedere i danni provocati dello tsunami.
C’era una ragazzina che urlava, piangeva e chiamava la mamma che ovviamente non c’era più… una canzone, precisamente quella di Ayaka Hirahara, dal titolo Jupiter, faceva da sottofondo a messaggi di cordoglio e di in bocca al lupo che leggevano in tv e che erano diretti a chi era nel Tohoku.
Altro pianto enorme e altra sensazione orribile perché io quella sera poco prima, avevo pianto egoisticamente per me quando c’erano persone che avevano perso i loro cari, la loro casa, la loro vita.
Era tutto sbagliato.
Tu costruisci qualcosa con tutte le tue forze, resisti alle avversità perché speri che il detto “chi la dura la vince” funzioni, ma molto spesso nonostante i tuoi sforzi, il mondo ti crolla addosso.
E poi c’erano tutti quelli che senza sapere il pericolo che correvano, stavano lavorando a Fukushima, persone che non riuscivano a contattare la famiglia, che non sapevano se la famiglia stava bene perché ovviamente vivevano vicino alla centrale e lo tsunami aveva devastato tutto.
Ma loro continuavano a lavorare, con mascherine, senza contatti con l’esterno, senza sapere se i loro cari erano vivi o no, o se ancora avevano una casa.
Era una situazione incredibile, nel senso peggiore del termine.
Il 15 di Marzo, anche il reattore numero due ebbe un’esplosione.
Di male in peggio.
Il 16 Marzo, l’ambasciata riportava questo:
“L’Ambasciata rinnova vivamente l’invito ai connazionali che non abbiano imprescindibili ragioni di restare in Giappone di allontanarsi, in particolare, dalle quattro prefetture colpite dallo tsunami, la grande area di Tokyo e le prefetture a nord della Capitale.”
E per la prima volta, vidi il volto dell’Imperatore del Giappone.
In una sua rarissima apparizione in tv invitava il popolo alla coesione e compassione dando loro la forza di andare avanti.
Pensammo tutti che, se persino Akihito si era scomodato, la cosa ormai era del tutto fuori controllo.
Intanto era cominciato lo sciacallaggio delle compagnie aeree.
Biglietti da 3000 euro per tornare a casa in Italia. Una pazzia.
I miei ormai non sapevano più come convincermi, ci misero 3 giorni a farlo. Tutti gli altri italiani erano tornati, in modi più o meno incasinati, con scali in Cina, in Russia, in Thailandia.
Io non volevo andare, ma non potevo neanche tornare a Tokyo, stavo troppo male per ritornare lì.
Il 20 Marzo, dopo aver passato ad Osaka 3 giorni da sola, tra news, amici che su facebook mi supplicavano di tornare, di non bere l’acqua di non mangiare le verdure, di non prendere latte e non ricordo quanto altro ancora, presi quel triste aereo che da Osaka mi portava a Roma.
Rimasi a Roma 2 settimane e poi tornai in Giappone.
Intanto sulla rete, impazzava l’aggettivo “flyjin”, ossia straniero che vola via dal Giappone.
Non ho mai capito chi lo abbia coniato. Io ho sempre pensato che le persone non debbano essere giudicate per le loro scelte, soprattutto se non si sa cosa c’è dietro queste scelte.
Ma che dirvi, il mondo è bello perché vario.
In quello stesso anno, a Luglio, tornai in Italia. Dovevo capire cosa fare della mia vita, amavo il Giappone ma mi sentivo come se avessi una spada di Damocle che mi dondolava sulla testa.
Stare attenta all’acqua, al latte, alle verdure… era stressante senza contare che i miei si erano fermamente opposti al mio ritorno.
Aspettai un anno, e in quell’anno capii che alla fine, volevo stare in Giappone più di ogni altra cosa, e lottai di nuovo per trovarmi la mia chance di un visto e un ritorno.
La trovai, ed ora sono qui.
Certo, mi rendo conto che non è tutto come prima, qualcosa è cambiato… e le persone ancora senza una casa che sono lassù ci ricordano sempre che le conseguenze di questo avvenimento non si sa per quanto continueranno, ma SONO QUI.
In barba a tutti, con dentro il cuore il ricordo di qualcosa che vorrei dimenticare, ma che so non essere possibile.
E forse non dovrei dimenticarlo, forse anche quello mi ha cambiata, forse… non forse, sicuramente non si deve dimenticare.
Ma una domanda fatemela porre.
Se tutto accade per un motivo, qualcuno mi può spiegare il grande disegno dietro questo evento disastroso?
Perché quello io, proprio non lo ho capito…